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Tu non ti pungi più

Potrebbe essere sera

Timida molto audace

La sposa occidentale

Mi riposa

I ritorni

Alcune noncuranze

Campati in aria

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tu non ti pungi più
(Battisti-Panella)

 

La lotta dei cuscini
senza sonno che spiumano,
che fanno zampilli di pollini che pullulano
aggressivi, irsuti, istigatori di starnuti.
Così tu te la spassi amoreggiando,
e te la prendi comoda,
con morbida ovvietà,
sembrando tu un guanciale
contro un altro che t'assale,
il tutto in una schiuma,
che coi talloni monti come l'uva.
E come un muschio domestico stampato e
quanto inutilmente rimboccato.
Questo composto di onesta futilità
mista a passione come un cialdone si sfa;
sulle rovine, vorresti forse anche tu
in bricioline come una reggia andar giù.
Tu non ti pungi più,
e la vaghezza non osa,
vai molto oltre, tanto poi ti raggiungi.
Impenni una montagna solidale
e nel suo fianco falle, falle rudimentali,
aperte come portali
per i tuoi puntuali
appuntamenti molto occasionali.
E la pianura s'ingrossa:
fra la cresta e la fossa,
tu non ti pungi più,
l'erba enorme cavalca
bianca e verde cobalto,
prendendo al volo forme di caduta e di salto,
infine dorme
come un binocolo nella custodia
la tua vista.
Se un santino
ti visita e t'indora,
ma rimandando a poi,
perché dilegua,
tu, perché ti accora,
canonica lo fai
languire prima
e mormori un oramai
come una preghierina.
Oramai, ora cosa, ora che:
perso per perso ohimè.
Candida o perversa
che non ti pungi più,
raccolta o dissipata,
esausta o fresca fresca,
quasi niente per niente
pungente pungente,
ma rizzi e doni quel barbaglio alla Luna.
Questo è quanto.
Con una belva accanto,
è questo il modo in cui
fai la morosa:
assumi pose inesplose,
e non ti pungi più,
non fai più la raccolta
d'incanti ardenti ed arsi.
Una vela è un sottile perché,
un avvilito ohimè,
e non si dorme bene
ché lune piene
tutte beate, mutevoli e brune,
tutte toccanti.

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Potrebbe essere sera
(Battisti-Panella)

 

Potrebbe essere sera,
potrebbe essere una sera
alabastrina,
con le sue venature ed una serpentina
fessura per passare dalla sera alla notte
con la nostra piccina.
Viola il colore della sera,
l'ora nella quale tutto resta
non tanto com'era, ma come sarà.
Rinviate le schegge,
s'infrangono come vetrate
le saracinesche,
come se non dovessero riprendersi più,
risalire, riaprire un domani.
E i viali vanno avanti in due filari,
per pura educazione, così per cortesia
non finisce la via,
pur avendo diverse
ragioni per fermarsi:
cercare gli aggettivi catarifrangenti
infranti e lucenti.
Ma con l'educazione e con la cortesia,
c'è da fare attenzione tra i viali e sulla via
nell'ora in cui si avvera
soltanto il colorito della sera.
Viola paonazza, la ragazza è sola
con suo grande sollievo per godere con me,
si permette un coda, roteata all'intorno,
se la mette, la leva:
potrebbe essere sera.
Le foglie fanno i compiti sui rami:
i bilanci, i conti,
la lettura con occhi castani,
potrebbe essere sera.
E tu potresti ridendo dire
"Non ho spiccioli, resti d'inverno,
né di primavere, davvero non ne ho,
e non posso cambiare, scusate,
né l'autunno, né l'estate."
Viola, paonazza la ragazza è sola,
passa e ripassa la linguetta rosa
sopra il quesito del suo labbro squisito.
E come resiste, ma come resiste
al lamento ottimista di una felicità;
si permette un rifiuto con il mento levato,
più bellina più altera
potrebbe essere sera.
Come chi in sonno dicesse una frase così,
giorno dopo giorno, un rumore così,
a dissolvere a smorire un frase così
"Non è così com'è, non è com'era"
Tu cedi all'insistenza dolce e viola,
seguendo la pendenza della sera.

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Timida molto audace
(Battisti-Panella)

 

Amato tanto così
me lo ridici
amato tanto.
Timida molto audace
la stessa diversa persona sei tu,
e per cambiare ti basta saperlo,
che non sei mai la stessa,
nemmeno a volerlo.
I simboli non sai cosa siano,
un'ortensia non è nemmeno quella.
Hai la pazienza di un'onda
compresa la tendenza
a soffermarti mai,
come fosse la fine.
Non un dito notevole,
ma dieci impercettibili soprusi,
aperti come i mari,
e come i mari chiusi.
Neri i tuoi neri sconvolti
divampati imperi irrisolti,
e matematicamente rivolti
a contenere zeri.
Impensabili però malleabili,
ballabili mammelle
abbracciate alle quali volteggi
sotto il lampadario delle stelle,
inutilmente imitatrici dei tuoi denti.
Prendi, e dagli spaventi
tanto sentimentali,
tiri le diagonali dei sospiri violenti.
Svegliata la mattina,
guardi nel posto accanto
lo sfinito e per quanto
respira o non respira.
Sai che non si è mai la propria vita,
la tua ti serve appunto per certezza,
tu vivi e lasci vivere te stessa
con un congedo, con una carezza
sicura con la mano, sicura con la mano,
con la guancia perplessa.
Sciolta come le braccia
scomparirà la neve:
per sempre se ne andrà,
e se dovrà ricadere
sarà come un armadio che si sgancia
e precipita dal cielo in tante schegge.
E tuttavia, però comunque sia,
bellezza e compagnia
non vanno bene,
non si legano insieme.
Risentirai la neve risuonare
dentro le risatine,
come un piacere
che non sai trattenere.
La neve tornerà come un pretesto
dipinta e sempre finta,
e tu la irridi,
la lusinghi e la sfidi
e la solleva il tuo sbuffo selvaggio.

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La sposa occidentale
(Battisti-Panella)

 

Non dobbiamo avere pazienza, ma
accampare pretese intorno a noi
come in un assedio, ed essere aggrediti
dalle voglie più voluminose:
un fiore, che è un fiore,
io non te l'ho mai portato
vuoi improvvisato, vuoi confezionato, ma
trasferisco da te tutti i fiorai,
è più facile a dirsi,
e infatti te lo dico.
Ti piacciono i dolci
ed io sul tuo terrazzo impianto
un'impastatrice industriale
che mescola e sciorina la crema per le scale.
Se tu ti vesti, io sul tuo balcone
faccio calare in forma d'indumenti,
tutti i paracaduti ed un tendone bianco da sceicco
e la sua scimitarra per fermaglio
ed è più facile a dirsi che a dimostrarlo falso,
e infatti te lo dico perché non basta il pensiero.
Vuoi prendere un treno di notte
pieno di paralumi e di damasco per dormire,
sennò a che serve un treno:
alzo con le mie leve tutti i binari
e, senza alcun disagio di viaggiare in discesa,
scivolano da te tutti i vagoni.
Detto cosi' e' semplice e infatti lo e' detto cosi'.
Ti lascio immaginare cosa succederebbe
se tu volessi bere, se tu volessi nuotare,
se tu volessi l'ultimo centimetro di cima
del monte che ti pare
per farne niente o per otturare
un buchetto qualsiasi in fondo a un mare.
Trascurando il tempo ed il riso
tu escludi le risorse più abusive
che sono state mai precise come
sul tuo bel viso rilassato ed inespressivo.
Se nulla capivo, qui tu finalmente
nulla lasciavi germogliare sulla brulla,
paradossale, tra noi terra infondata,
dove sono i leoni,
ammattiti e marroni,
lasciando immaginare
la sposa occidentale.
La sposa occidentale che sembra quasi ridere
e invece lei respira,
quasi piangere, ma gira
dall'altra parte il viso, ma ritorna
portando sue notizie inaspettate;
amando tutto ciò che adora,
chiama con nomi fittizi le cose:
così, semmai, le rose
son spasimi, per ora.

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Mi riposa
(Battisti-Panella)

 

L'aereo rulla
sulla pista sgombra,
e il ruscelletto frulla,
radente dentro l'ombra,
dove, non visto, fa
certune cose.
Noiosa come sei,
mi sei preziosa.
Monotona ottimale,
mi riposa
la confidenza tua
priva di varietà,
la musica camusa
che stempera le palpebre,
le strugge in cere fuse
e le sigilla
su pagine non chiuse.
Noiosa ti dimentichi di me,
e siamo soli.
E tu parli di noi
senza abbandoni,
e senza animazioni e con la correttezza
di una traduzione che risuoni
facile e fedele senza quelle
inutili trappole e stili.
Pratica, con te sei pratica,
sfogliando un argomento prediletto,
ma non sono petali: tu i fiori li divori,
come i gialli:
"La corolla assassina",
"Il pistillo che sa".
Ti appassioni stordita, tutta in punta di dita
al variare dei fiori.
E li divori,
come una capretta
illetterata ai titoli
dei gialli fiorellini di ruchetta.
Noiosa in un esilio,
segnata dallo smalto,
ti scusi se hai le mani
che somigliano ad altro.
Scavalli ed accavalli le gambe, d'un tratto,
come i tergicristalli,
e infatti ti schiarisci, traspare,
che dentro l'idea chiara,
vacillano i corpi giovinetti
col tridente ad infilzare
gli amori serrati,
corazzati e profondi dei ricci di mare.
La macchia tonda e dolce dei bicchierini,
le scarpe decoltè,
quel capogiro, che
scossa agli orecchini,
l'onda color dei vini,
e cirri bronzini
dei capelli infantili.
Statica, ritorni statica,
con lievi incrinature,
serpeggiamenti dentro le strutture
esce un amore mio,
come un colombo,
dalle feritoie,
che viaggia tanto e tanto,
ha già viaggiato tra le noie,
si butta a capofitto,
diventa un ruscelletto
che frulla,
radente dentro l'ombra,
e la tua voce rulla
sopra la pista sgombra.
Roca, diventi roca,
con una voce, poca,
da ciceronessa
che spiega com'è bella,
com'è bella se stessa.
I nostri tè si bevono da sé,
molto corretti,
e intanto è incominciata
la sfilata
di intere collezioni
di biscotti.

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I ritorni
(Battisti-Panella)

 

E da quel punto in poi
sentimmo sotto di noi
svolgersi il sentimento,
largo e intento
ad una tutta sua meditazione,
non curante
che sopra la sua pelle si ballasse.
Le foglie coi barattoli, le casse
con i tronchi senza cuore.
E lo scandaglio calava dalle prore,
poi ritornava su
chiedendosi "Perché, perché il ritorno?".
È sempre per prova che
sulle labbra torna
la parola "amore",
per prove d'esercizio
perché si sa che poi non si sa mai
che potrebbe tornare utile.
Tornare, per raccontare
il furore e il gelo
delle notti aurore.
Bianca e assai provata,
scampata per un pelo per poter ritornare,
come dalle crociate, a un futile
sopravvissuto a tutto,
che ritorna più utile che vivo,
quindi innamorato ancora.
E torna, torna, lei gli ha detto torna
ed era una bambina, finalmente,
e gli diceva torna.
Abbiamo un solo limite:
l'amore che ci divide.
Come la ragione,
perché con la ragione
si sopravvive a tutto,
si distrugge il distrutto,
ricostruendo a intarsi la copia fedele
dell'innamorarsi,
e un tassello alla fine
o è dell'uno o è dell'altro.
E i sogni si allontanano
come i cavalli scossi,
caduti i sognatori;
bocconi tra le fragole, ma
più dolci e più rossi,
ridotti a dolenti spifferi.
E docili incompetenti
nella lotta incerta
tra il ridire e il fare
l'amore colloquiale.
E lei continua a dirsi:
"Si sopravvive a tutto per innamorarsi".
Amarsi è questo: escludere
d'essere i soli al mondo,
i soli ad esser soli amando,
sterminandola l'invincibile armata.

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Alcune noncuranze
(Battisti-Panella)

 

Non un complotto e non una soffiata,
nemmeno tra le ciglia,
perché tu sbatta gli occhi,
e non un parapiglia senza sbocchi:
niente di tutto questo,
ma saranno le disinvolture,
ed alcune noncuranze a tradirti:
come tu resti seduta sulla sponda del letto,
come non dici nulla, quando non lo dici.
Perché lo hai deciso, e fai sì con la testa,
come una ginnastica,
perché lo hai deciso
di perdere il filo.
Saranno queste cose un poco oziose a tradirti:
sarà un prurito quando non esiste,
e invece ti soccorri con quell'unghia fatta apposta
per essere un bisturi che in mano a te
diventa decorosa. Innocente,
perché curatissima, sarai tradita
dalle tentazioni, nelle quali saprai
come cadere, ossia da sola,
solo arricciando il naso,
in modo sorridente,
quando il sorriso vive,
essendo bolla d'aria
tra il labbro e le gengive.
In campo scenderanno forze prive di forza,
le tue piegate dalle brezze estive,
e saranno a tradirti queste ondate di pigrizia,
di estenuazione senza alcun motivo.
Quando avvertirai, distinto, sopra tutto,
il profumo che sale dal tuo polso.
Quando ti sentirai rotonda in certi punti,
e in altri più in pianura
con zone inesplorate, lontane e lontane da te.
Quando una gamba atterra,
mentre tu sei distesa,
hai il peso di tutto quanto resta
sulla terra intera, meno te,
l'unica in questo momento
di cui non ti fidi,
e saranno dei nervi minori a tradirti.
Se cade un bicchiere da solo,
se vola una sedia sullo scaffale,
allora tutto ritorna normale.

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Campati in aria
(Battisti-Panella)

 

Sei molto presa dall'idea
che infine ci incontreremo:
vedi sempre la stessa scena,
e non si sa da dove venga io,
ma per comodità la mia figura
si forma in quel momento
e qualcosa ti cade di mano, anzi no.
Sei tornata a fiorire
tu vignetta gentile
con una fretta di furbe nubi d'aprile.
E provavo qualche cosa per te,
questo provai, soltanto che mi sfuggì
quella prova. Non ci vediamo che da sempre
e questa ti pare una buona ragione
per sporgere le labbra, come un fischio,
e poi guardare altrove, senza però fischiare,
cominci a capire chi siamo:
i nostri emissari venuti a discutere
molti punti difficoltosi.
Ho stravisto per te
non so chi, non so che,
resta lo stile delle agitate vigilie.
E il tumulto
che da te sortì,
detto così, so solo che mi sfuggì
qualche sussulto.
E tu nonostante ciò solleciti,
mesta, calma e onesta e un po' scolastica.
Potremmo per miracolo inciampare
con la stessa disinvoltura ed eleganza
con la quale sprofondano i piroscafi in mare,
con tutte le luci accese,
e si direbbe che a bordo c'era un ballo,
luccicando le stesse
vaghe spine, indigeste,
degli estri scritti,
tra i fitti immensi nerastri.
E ti strinsi,
ed il senso sparì:
essendo lì,
nel senso che mi sfuggì,
seguendo l'istinto,
tutto il senso che s'è letto, tutti i libri.

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