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Almeno l'inizio

Hegel

Tubinga

La bellezza riunita

La moda nel respiro

Stanze come questa

Estetica

La voce del viso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Almeno l'inizio
(Battisti-Panella)

 

Alla fine ti trovasti in un bel posto
e lì capisti perché t'erano stati chiesti
gli occhi in prestito. Per il loro particolare colore,
fai tu quale, che ora è l'iride delle finestre.
Alla fine ti fu chiaro perché quel gran parlare
della tua bella conchiglia auricolare;
e quel solleticare. Eccoli i padiglioni,
i disimpegni, la chiocciola i vestiboli ecco la stanza.
E tu entrasti perché c'era tutto
e tutto a oltranza i tuoi comportamenti e le reazioni,
le tue belle presenze e gli abbandoni,
le carezze in cambio delle tue carezze,
e le scontrosità, le irritazioni.
C'era anche qualcuno che ti diceva "È tardi
dobbiamo andare". E tu dicevi "No, io voglio ancora,
ancora io mi voglio mi voglio rivedere
e se non tutta, almeno l'inizio".
Che cosa avresti fatto per sentirti un po' più sola
e per dolcemente navigare
sul dorso o sul tuo petto,
e fare una capriola
che ribaltasse il cielo.
Lì c'eran tutti predisposti i baci
asciutti e meno e tutti i desideri,
e le istintive applicazioni di te
eran montate ad arte accanto al tuo profilo,
vicino ad ogni tua parte. E tu dicevi "Ancora un altro poco
e se non tutto almeno un po' d'inizio".
Fare si può fare ed anche disfare,
ma è un'impalcatura.
Dipende da chi sopra ci sale.
E tu dicevi "Ancora un poco,
e se non tutto, e se non tutto
almeno l'inizio".
E tu, una volta su
osservi la tua stanza.
Tu, la tua, nella quale,
oltre il disfare e il fare,
si delineano cose
appena appena verosimili.
Con ciliege passeggere e grappoli appannati,
d'uve segrete e nere dalle pelli boriose e fini,
perché tu, che ti senti alle volte una mandria
possa indire turchini selvaggi festini.
Con curvi cieli estivi che scendono
come coperchi su te che bollivi.
Con i freschi provvisori che soffiano
sotto i cuscini e tu li assalivi
con gli abbracci e le guance
giaciute con l'equatore
perché di te, già cibata,
non è di calore che hai bisogno
ma di un orgoglioso refrigerio.

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Hegel
(Battisti-Panella)

 

Ricordo il suo bel nome: Hegel Tubinga
ed io avrei masticato
la sua tuta da ginnastica.
Il nome se lo prese in prestito dai libri
e fu come copiare di nascosto,
fu come soffiare sul fuoco.
Cataste scolastiche: perché?
Quando tutto è perduto non resta che la cenere e l'amore;
e lei nel suo bel nome era una Jena.
Chi di noi il governato e chi il governatore
son fatti che attengono alla storia.
Chi fosse la provincia e chi l'impero
non è il punto:
il punto era l'incendio.
Erano gli esercizi obbligatori estetici,
le occhiate di traverso, e tu guardavi indietro;
c'eravamo capiti, capiti all'inverso.
Ci diventammo leciti per questo.
D'altronde, d'altro canto.
A volte essere nemici facilita.
Piacersi è così inutile.
Un bacio dai bei modi grossolani
sfuggì come uno schiaffo senza mani.
Talmente presi ci si rese conto
d'essere un'allegoria soltanto quando
ci capitò di dire, indicando il soffitto col naso,
di dire "Noi due" e ci marmorizzammo.
La corda tesa, amò l'arco
e la tempesta la schiuma,
il cuore amò se stesso,
ma noi non divagammo.
L'animo umano è nulla se non è
una pietra da scalfire ricavando
i capelli e il suo bel piede.
Era la collisione, il primo scontro epico,
perché non scritto ma cavalcato a pelo,
ed ognuno esigeva
la terra dell'altro,
le mani, la terra, la carne, il terreno.

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Tubinga
(Battisti-Panella)

 

Da qualche tempo è recente anche l'antico.
Il disco del Discobolo è cromato.
Nella testa di Seneca si sente
il motorino di un frullatore.
Nelle piramidi continuamente
scatta un otturatore.
E in te Tubinga, in te non c'è un juke-box e non un tostapane.
Tu mi risparmi d'essere testimone antico e recente
delle istruzioni lette attentamente.
Non un tasto in comune, non un percorso,
passando per bi e ci dalla a alla di.
non un cablaggio, non una connessione.
Non la contemplazione, nemmeno l'esperienza.
Ma una delicata, leggera confusione
perché mi sfugga come una stoltezza
l'invocazione a te, mio generale, mia generalessa.
E al posto del carattere.
E al posto del carattere, mia cara,
poniamo una tempesta, un caso esterno,
un alto mare che i giorni, i mesi e gli anni
inseguono e non possono afferrare.
Io decorato di passamanerie come un divano
per dirti siediti, distendi le tue gambe
ed usura il tessuto col tallone,
poi dormici su che poi, quando ti svegli,
parlandoti di me ti dirò "Egli.
Egli è qui. È qui ed ora" e non ti dirò altro.
Non parlerò di stili e di reliquie.
Tutto è recente come uno squillo di sveglia.
La data più vicina è un dormiveglia.
E al posto di cose ci sono le cose.
Poniamo le cose esaurite, le stesse.
E dopo le stesse mettiamo le cose
se le medesime vanno esaurendo.
Un bel poligono al posto della stella
e nel quadrato il tondo andando bene.
Nel coraggio di Achille le rotelle
per fare l'orlo alle pastarelle.
E supplicante l'immagine è morente,
narciso e dalia insetto galleggiante,
come pasto rimastica le spente
nature morte virtuosamente.
Ahi!
C'è qualcosa che cade
e una cosa sta su.
Ahi!
C'è del chiaro e del bruno c'è,
c'è una chiusa cosa in sé
fa un rumore un po' tacito.
Sembrerebbe il sussurro dell'acqua.
Ahi!
C'è qualcosa che odora,
una profumo non ha.
Ahi!
C'è del grande e del piccolo.
Una c'è fintantocché ce n'è un'altra che mormora.
Sembrerebbe il sussurro dell'acqua.
Ahi!
C'è qualcosa che chiude,
una schiude, una resta dov'è;
c'è
dell'asciutto e dell'umido
nelle cose, cosicché piatte l'une altre ripide.
Sembrerebbe il sussurro dell'acqua.

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La bellezza riunita
(Battisti-Panella)

 

Mi apparisti vestita
e più carpita da me
più che tu non lo fossi.
Misurarti la vita
mi pare proprio che sia
tutto quello che posso.
La bellezza riunita
ha più difesa di sé;
mi dicesti "Sospira".
Come chi si ritrae con il dito chiedendo silenzio;
la totale pienezza di te
dal mio braccio destro si disincagliava e calava nell'ansa
del sinistro, mista alle piegature, e declinava.
Di te, in te stessa, l'attività assoluta
era una lotta contro la natura
che è dimessa al vento,
succube alla furia.
Ma tu non soccombevi,
eri impennata
sulla tua forma finita e creata.
E la tua finitezza superavi
sapendo, di te stessa,
non solo di convessa, di concava, di cava,
umana, pelle umana. E la realtà finiva
e il vero cominciava. Certo imbruniva,
ma imbruniva fuori.
All'interno i colori
erano luci spente,
umiliate dalla tua bocca ponente.
Dopo un po' si vedeva
soltanto quello che può
perdonare la vista.
E scoprire le gambe,
fu qui la tua miglioria,
per distinguere meglio.
Ogni tuo gesto è compreso
in tutto quello che sa
di te stessa quel gesto.

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La moda nel respiro
(Battisti-Panella)

 

"La moda è generosa", pensi
cade più docile delle mura,
più facile dei bastioni:
ai tuoi piedi, sciolta la chiusura.
Dici i Greci, e pensi sono pieghe,
son colori i Fenici,
e i Macedoni fibbie,
intimi i Latini.
"La moda è generosa", pensi
meglio di un pugile si risolleva
più agile perde i sensi
crolla in pezzi senza alcun patema.
Dici i sogni e pensi ai bottoni,
son asole i risvegli,
e gli scolli effusioni, e spacchi gli sdegni.
E chi teme la moda è immerso in essa comunque
e d'essa intriso come un cardo dal gambo reciso.
E dici è molto comoda se esclude
sempre di presentarsi in figure,
in tagli, forme e positure,
immediatamente tutte nude.
Così che quando passa questo eccesso
ci pare non avere perso nulla,
ci pare non avere perso il tempo
che la nudezza sbriciola e maciulla.
Dici la via di mezzo, ecco la via
quella percorsa dai ragazzi alteri
che vanno a divertirsi nei misteri,
spiegabili perché non intralciati,
dai cupi sedimenti dei passati.
Mi dici il mezzo giro,
quello che va di moda, dei tuoi fianchi;
gli occhi totali, come elianti
la spossatezza semplice, formale,
ed un rilassamento collegiale.
Come se intorno a noi,
in curvi corridoi,
i disciplinatori,
le studentesse e gli studenti, rapinatori del momento d'oro,
consumassero un lusso di moine,
un rimandare sempre all'anno dopo,
frenetici in unj ballo senza scopo.
Noi nella stanza accanto
e la moda cambiava nel respiro,
il nostro che cambiava ogni tanto.

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Stanze come questa
(Battisti-Panella)

 

Prendiamo una carrozza anacronistica,
aggiornandola in quanto inesistente.
Saliamo alla sua guida.
Di redini, di lacci se ne trovano,
di legami tra noi, di dolci bende.
Bardiamo un animale a caso il cuore
dai fianchi pretenziosi da roano.
Ecco che trotta. Che ci prende la mano.
Abbiamo visto le regge, dietro le inferriate,
e le foreste nere e le campate
non so di quanti ponti.
Ho visto la tua nuca ad Alessandria,
e poi me lo racconti se ci sei mai stata,
se ti senti, ti sentivi osservata.
Il posto è qui.
è qui quel lavorio
dell'erba, simile al pensiero
che contiene nel vello
quell'orma del tuo corpo
ed uno stelo sconvolto
dal tuo gomito che avrebbe
dimenticato d'essere carnale,
per non dimenticarlo in generale.
Qui si incavano,
senza corpi a pesare,
le nostre impronte a muoversi, a sedere.
Vedi là, vedi là
e gli occhi saltano
come chiaro e pupilla capinere.
Ci sono posti al mondo
dai quali non c'è fuga.
Stanze come questa, nelle quali
restano le nostre rappresentanze,
i nostri uffici doganali.
Dove noi veramente
ci impieghiamo,
avviluppati in teneri sofismi,
cavilli di permessi,
arzigogoli, tropismi
nella nostra direzione.
Una frontiera è fatta di due righe.
E bastavano le dita di una sola mano
mandata avanti
in viaggio, e l'altra le
farà da testimone
si può vedere tutto;
e fermamente,
se di due righe è fatta,
facciamo la frontiera
dove passa fauna e flora straniera.

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Estetica
(Battisti-Panella)

 

È successo quello che doveva succedere.
Ci siamo addormentati, perché è venuto il sonno
a fare il nostro periodico ritratto.
E per somigliarci a noi
più che noi stessi, ci vuole fermi,
che appena respiriamo,
e mobili ogni tanto,
come un tratto
sicuro di matita. Ecco che siamo
la viva immagine di una
distilleria abusiva che
goccia a goccia
secerne puro spirito.
Noi dietro una colonna ridevamo per l'aneddoto,
e ci contrastavamo amabilmente
su aria, fiato e facoltà vitale,
su brio d'intelligenza,
sull'indole e sull'estro,
soffio, refolo, vento e venticello,
sull'essenza e sulla soluzione,
sul volatile e sulla proporzione,
sul naturale e sul denaturato.
E poi sulla fortuna.
La fortuna non c'entra
quando una cosa
per terra si posa.
E vale sia per l'estetica
che per l'allodola.
E lui continuava a ritrattare.
A ritrattare quindi.
E la reale
e doppia fisionomia nostra
spariva via
come una coppia annoiata di
visitatori da una mostra.
Noi dietro le sue spalle
ridevamo per l'aneddoto
mimetico, drammatico, faceto, ditirambico,
e ci contrastavamo amabilmente
su verde, rosa e viola del pensiero,
su mente giudicante,
su lampo e riflessione,
e sul limpido e il cupo e il commovente,
su coscienza e su allucinazione,
sulla celebre cena e gli invitati.
Colori che divorano colori
se lo spirito s'eccita,
per caso esilarando,
oppure ardendo,
bruciando bruciando.
E chi dei due
ha le parti fredde
cercando le tue.

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La voce del viso
(Battisti-Panella)

 

Per insignificanti movimenti
tanti e tanti il volto è tutto;
e tutto sta raccolto sopra il tuo bel volto. Lingua che sei straniera
e non si sa se vuoi che io ti distingua dalla mia
o se mia lingua ti finga.
Bocca di gradazioni, intera gamma,
dalle predilezioni alla maniera amara.
Bocca che mi sei cara
appena appena schiusa quando armatura in te
quella fessura è un dissuadendo le svariate forme labili d'espressione
per tentativi ed approssimazione.
Ed il tuo volto è tutto nel momento in cui,
passando sopra alla tua immagine
della quale è troppo facile dire che in superficie,
affiori l'anima passando sopra la tua immagine, invece
ci si vede intraducibile l'estraneità al lavoro. Ché il volto è tutto
ma non è del corpo, al quale pare unito.
Il corpo, contentando il senso della nutrizione
e il viso l'ascensione l'assolvenza dell'inappetenza
perché un bel volto bello se lo si può guardare è un disimparare
del mondo questo e quello.
Così ci s'innamora di un viso in cui
l'estraneità lavora. Il corpo segue,
come un testimone casalingo e familiare
di questa apparizione,
in su la cima. Quest'opera sensibile:
il tuo volto che si manifesta ed è
oltre l'ordine della natura.
E come tutti i portenti tende a scomparire
più cerchi di tenerlo a mente e nelle spire
dei ritrovamenti portentosi.
E la voce del viso allora nemmeno
ricorre ai miracoli
non un riso, un pianto,
non una smorfia densa d'oracoli.
Ma dà senso quella voce a un solo volto che sotto il mio
rotola, si ferma e freme, alle mie mani preme
perché lo riporti in cima,
in vetta al suo sistema dei piaceri.
Secondo un canone, un precetto ed una disciplina
che inumidisce i capelli e per discrezione stende
un velo di madore sulla pelle.
Ti spadroneggia allora il tuo godio,
disincantato in quanto,
più è restio al racconto lenitivo,
al riassunto giulivo. E non è riso appunto
e non è pianto il tuo perché il racconto è il riso e pianto il suo riassunto.
Sul viso la sintassi non ha imperio, non ha nessun comando.

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